Questa storia non ha un protagonista, se non una giacca da chef che tanto dà e troppo toglie, soprattutto a chi si lascia sovrastare e diventa vittima della sua maledizione.
Un viaggio immaginario in stile tarantiniano nella vita, intensa e tormentata, di un ragazzo con un sogno ben preciso: diventare un cuoco.
La vita però troppo spesso viene stigmatizzata e raccontata come una favola antica, senza ostacoli né difficoltà.
Buona lettura!
Sognando la giacca da chef.
Parte per gioco, come con le droghe. L’effetto è pressoché lo stesso.
Dipendenza.
Inizi strappando i fiori del balcone di tua mamma e fai finta di cucinarli. Senza fuoco o padelle. Solo tanta fervida immaginazione.
Poi passano gli anni, fai le prime esperienze, magari coi nonni, con le nonne.
Biscotti al burro.
“Oggi impasti tu!”. E così le tue mani si ritrovano in una ciotola, abbracciate felici in quella meravigliosa sensazione di unto. La nonna ti dice di impastare velocemente per non riscaldare l’impasto, ma tu le mani non vuoi più toglierle da quel ventre caldo e burroso.
Lasci a malincuore il posto a tua nonna, perché l’impasto è troppo duro da girare per le tue gracili braccia di bambino.
E poi… il profumo del forno che riscalda i biscotti è il più bello del mondo. Ti incanti a guardare quell’impasto che cambia forma e colore. È magia. L’ammoniaca ti pizzica il naso e sogni la tua prima giacca da chef.
Tu sei in estasi, e lo sai.
La prima giacca.
Hai combattuto, ma senza mai arrenderti.
Hai un sogno, lo hai sempre avuto: quella è la tua strada.
Ti iscrivi all’alberghiero, prendi le misure, compri la prima giacca. Prende forma dentro di te la vita agognata, sperata.
È così fredda la prima volta che la indossi quella giacca, ma sei così orgoglioso!
Inizi a studiare, impari a usare il coltello. Ti tagli, e proprio come il mare con le sue insenature crea baie stupende, i tagli fanno entrare il mestiere nell’anima.
Le mani le stai riempendo di calli. Ma i calli ti servono per facilitare il lavoro. E ti stai bruciando talmente tante volte da perdere quasi la sensibilità delle dita.
Inizi a lavorare, nei fine settimana, tutti i fine settimana. Studi durante la settimana e lavori nei weekend.
Stai unendo l’utile e il dilettevole. Fai esperienza e hai i soldi per comprarti le sigarette, non ti senti più un peso per nessuno.
Sei stanco, ma felice, molto felice, e lo sai.
La musica delle cucine.
Ti sei diplomato, nemmeno sai come.
Stai lavorando praticamente tutte le sere. Anche stasera dopo la maturità ti aspetta un servizio.
Avevi un sogno, sentire il tuo nome urlato forte, e credi ancora di essere sulla giusta strada per inseguirlo.
Hai comprato la torta da dividere con la famiglia prima del servizio. Arrivi in anticipo al lavoro, fremi dalla voglia di finire la preparazione della linea, in modo da avere più tempo per la cena, per festeggiarti degnamente.
Indossi la divisa, hai comprato una nuova giacca, è nera e la adori perché ti fa sentire diverso. I colleghi iniziano ad arrivare e parte quel concerto sinfonico, che sembra essere diretto da Morricone.
I coltelli guidano il ritmo colpendo i taglieri, la frusta della planetaria lo incalza impastando il pan di spagna, il ticchettio del timer del forno accompagna il tutto, ricordandoci che mancano pochi minuti per sfornare il pane.
Ad un tratto la musica è interrotta da un cucchiaio che in maniera secca si scontra con il tavolo da lavoro. È lo chef: “Due ore al servizio, accelerare!”.
“Sì chef!” urlano tutti con foga. E come d’incanto Cinema Paradiso di Morricone si trasforma in un medley quasi angelico tra la Carmina Burana e l’inverno di Vivaldi.
Sei felice, ne sei sicuro, e… O forse è solo il violoncello che ti aiuta a convincerti.
Una pesante giacca nera.
Per trovarti hai fatto male, davvero male, a te stesso. Ma per rimanere in piedi hai fatto peggio.
Ormai sei come un soldato in trincea che avanza a stento, con le unghie e con i denti, in perenne guerra con il tempo che non riesci a ritagliarti per stare con la tua fidanzata. Lei, che inizia a odiare il tuo lavoro, ma evita di fartelo pesare.
Anche tu ne sei consapevole: ti stai trascurando. Lavori 6 giorni su 7, per 12 ore e oltre.
Sì, ti stai trascurando al punto da non mangiare quasi più: lo odi quasi, il cibo.
Il tuo conto corrente è l’unico che sembra beneficiare di questa situazione: lui sta crescendo ma tu quasi non hai l’occasione di spenderli questi dannatissimi soldi che guadagni.
Quella maledetta giacca pesa ogni giorno di più sulle tue spalle. Non sai cosa fare, non ti diverti più e l’adrenalina inizi a cercarla altrove.
Ti stai impegnando a resistere, in tutti i modi. Nella pausa di stasera hai chiesto consiglio alla luna, ma emulando la tua amata nemmeno lei ti ha parlato.
Ti sei tagliato durante il servizio, un taglio più profondo del solito; sei distratto e questo è preoccupante, perché non lo sei mai quando indossi la tua giacca, la tua divisa.
Lo chef voleva mandarti a casa, ma hai lottato per finire il servizio.
Stai soffrendo, e lo sai.
La paura.
Sono le quattro del mattino, i tuoi amici sono in discoteca, tu hai appena finito uno dei servizi più stressanti della tua vita.
Sei nudo in bagno, unto fino alle ossa. In questa fogna sei nato senza branchie, stai affondando. Stai diventando vecchio più velocemente di quanto la natura ritenga opportuno.
Ti chiedi cosa farai da grande. E piangi mentre togli il cerone bianco dal viso.
Nello specchio rivedi il te di quando aveva 13 anni e ti riveli il segreto più grande e doloroso di tutti: sei solo, stai fallendo. Questa non è la vita che sognavi. Perché la vita non è questa.
Quando rinvieni da questo viaggio Ayahuasca sei ancora nudo e steso in bagno. Nessuno ti ha sentito rientrare e nessuno sa che hai perso i sensi.
Tua mamma ti ha ritrovato alle otto del mattino in accappatoio davanti al pc, non ti vedeva a quell’ora nemmeno lei ricorda da quanto.
Ti ha portato il caffè e così ne approfitti per avvertirla di cosa stai per fare: “Mà, appena mi asciugo i capelli mi iscrivo all’università”.
Hai paura, ma non puoi farne a meno, e lo sai.
La laurea e una nuova vita.
Ti sei laureato in meno del tempo previsto e con il massimo dei voti e la tua mente ha riscoperto la bellezza della cura dell’intelletto.
Piano, poco a poco, stai riprendendo il possesso della tua vita.
Certo non sei ancora sicuro della strada che stai seguendo, senti però che è quella giusta e questo ti basta ad andare avanti.
Con tutti i soldi che avevi messo da parte hai cominciato a viaggiare, e ti rendi conto di quanto questo ti faccia sentire vivo, carico di adrenalina.
Avevi stretto la vita così forte a tal punto da farla soffocare. Non ti è bastato vivere la vita che sognavi, perché, ti ripeti, la vita non è quella.
Hai fallito. Eppure, da piccolo tu volevi la cucina giocattolo mentre tutti gli altri bambini desideravano i video giochi.
Tu giocavi strappando i fiori e cucinando. Tutti compravano scarpe, tu collezionavi coltelli.
E poi, invece, hai fallito.
Tutti quei programmi televisivi ti hanno deviato, illuso e poi deluso.
E allora non ci giochi più con loro: coi coltelli, con i fiori, con la giacca… con i sogni.
Li guardi come i piatti sporchi, che fai prima a buttare che a lavarli. Li guardi proprio come un bambino osserva tristemente felice la cesta dei giochi rotti; con la consapevolezza dei ricordi, ma l’adrenalina di vivere nuove avventure.
India, Sudan, safari in Africa, L’Avana: a poco a poco spunti dalla lista dei desideri tutti i posti di cui ti stai innamorando. E per fortuna lei, la tua fidanzata, è ancora con te; ha resistito, avete resistito e vi state nutrendo di adrenalina.
Non ne puoi fare a meno, dell’adrenalina. Prescindi da lei, come Mia in overdose di eroina aiutata da Vega.
In fondo dopo l’insuccesso c’è la vita. E la vita sta proprio dietro i no, i passi indietro, le scelte diverse dal sogno di sempre…
Sei dubbioso, ma vivo, e lo sai.
Nessuno tsunami, niente botti, solo una semplice vita adrenalinica.
Il monologo.
La tua vita ti piace, tanto. Adesso sei felice.
Ieri sera però, mentre eri sul divano con lei a guardare la tv, un monologo ti ha ingarbugliato i pensieri e scombussolato lo stomaco.
Ed eccolo quel monologo scritto da Mattia Torre e recitato da Valerio Mastandrea che per tutta la notte ti è riecheggiato nella testa.
“Avere paura della morte fa bene all’uomo perché crea una tensione ideale fra sé e la fine della propria vita, e questo dà grande carica alla vita stessa, come la tensione che scorre sull’asse che regge due ruote di un carro. Le ruote girano e il carro va avanti. Io ero vivo ma ero in paranoia e la paranoia è deleteria, è una porta spalancata sui mali del mondo, sulle sue insicurezze. Io convivevo con una personalità bucata come se m’avessero sparato e da questo buco entrava tutto”.
Sei scioccato, ti senti come se un tram t’avesse colpito in pieno petto. E lo sai.
L’ultimo tango.
Tu questo buco lo senti, riesci ad infilarci dentro addirittura tutta la mano stretta a pugno.
Sei in crisi d’astinenza d’adrenalina e non sai dove cercarla, vivi la tua vita nelle poche dosi che riesci a recuperare da spacciatori occasionali.
Volo dell’angelo, bungee jumping, combattimenti di galli, corse in auto, scontri urbani fra tifosi. Non sai più cosa fare per uscire da questa situazione.
Quando tutto d’un tratto suona il tuo cellulare:
“Oh vieni ad aiutarci, io non posso aprire per il servizio di stase…”
“Ci vediamo al solito orario”. Nemmeno la frase gli hai fatto finire, non ti ha nemmeno pregato che eri già in soffitta a cercare le tue giacche, con la speranza che non fossero diventate troppo larghe.
Ti guardi allo specchio mentre le provi e ti prometti che sarà solo una cosa occasionale, un ultimo tango per ricordarti che non è più ciò che vuoi.
Arrivi in anticipo al ristorante, sembri un bambino la notte di Natale che freme dalla voglia di andare a dormire presto per far durare quella notte il meno possibile per aprire i regali.
L’inverno di Vivaldi accompagna completamente la serata, forse è solo nella tua testa, perché non riesci a distinguere nulla.
Ora però sei davvero felice, e lo sai.
La meravigliosa maledizione della giacca.
Questa carica di adrenalina sarà anche fine a se stessa, ma finalmente riconosci il vero colpevole di tutto ciò che nella tua vita non va come vorresti.
Le colpe sono da additare a “Nessuno”. Nel viaggio in macchina verso casa dopo il servizio inizi ad inveire contro Nessuno, emulando Polifemo.
Se qualcuno ti sentisse ti darebbe del pazzo, ma sono le tre del mattino e non c’è nessuno. Lo stesso nessuno che non ti ha avvisato della pericolosità di indossare quella giacca, della droga che sarebbe diventata, della forza con cui sarebbe entrata nella tua vita e della forza con cui avresti dovuto combatterla, per non farti distruggere.
Nessuno ti ha detto che poi non saresti più riuscito a farne a meno, nessuno ti ha avvisato delle crisi d’astinenza e delle notti insonni. E forse quei pochi che ci hanno provato li hai ignorati, ma in fondo è questo che succede quando inizi a drogarti, quando subisci la maledizione della giacca.
Crediti foto: Canva. Crediti immagine in evidenza: Romeo Merola
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