Tra Caffè storici e scrittori illustri: viaggio nei luoghi d’ispirazione letteraria a Trieste.

Di Trieste e del Caffè si dicono sempre due cose: che in questa città c’è un glossario dedicato per ordinare al bar e che qui ci sono Caffè storici che in passato erano frequentati da personaggi molto noti. Tutto vero.

Ma secondo voi Joyce ordinava un “nero” o un “capo in B”? 

L’indagine sociale di Saba al Caffè Stella Polare.

In quel punto così perfetto dove ammirare il sole che si immerge nel mare, proprio lì, dove via Dante si affaccia su Piazza Sant’Antonio Nuovo, nel 1868 apre il Caffè Stella Polare

Solo quaranta’anni dopo il giovane Saba, camminando tra le vie del centro, sceglierà proprio un tavolino di quel Caffè per sedersi e scrivere alcuni passi delle sue opere. 

Accomodatosi all’esterno, con il suo fare curioso, Saba ha condotto la sua indagine sociale scrutando il viavai umano. Sempre lì è iniziato il suo viaggio, quello nei ricordi di infanzia quando con Peppa scopriva i luoghi più belli della città che lo ha visto nascere. 

Tutto ad un tratto i suoi pensieri si tingono di rosso e di blu, colori che a Trieste profumano di natura. Il rosso è il colore del sommaco, arbusto tipico dell’altipiano carsico. Il blu è invece quello profondo del mare, simbolo di fuga ed evasione. 

Cosa prende?” Il cameriere irrompe nel dolce naufragar di Saba che sono certa abbia ordinato un nero in B. L’espresso che gli viene servito nel bicchiere è carico, sembra caffè della specie  Robusta: non il più buono in commercio ma intenso e scarsamente acido, con forti sentori legnosi. In fondo Saba è un uomo concreto che narra in poesie e racconti di persone comuni in luoghi e strade della sua amata Trieste. 

caffè che viene versato in bicchiere di vetro, il nero in B a Trieste
Caffè in bicchiere

Mi piace pensare che seduto a quel tavolino abbia dipinto anche il forse più bel ritratto che esiste di questa città:

“Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore.”

Il caffè che ha sporcato i baffi di Joyce.

Nel trafficato marciapiede di Largo Barriera Vecchia, quel 16 giungo 1904, Joyce cammina veloce verso casa in cerca di riparo. 

La giornata che dapprima sembrava governata soltanto dalla bora, ha da poco preso una piega alquanto bagnata. Joyce avvolge il taccuino dove abbozza i suoi testi nel giornale che ha con sé in modo che l’acqua non lo rovini e con un gesto repentino lo infila sotto il braccio prima di riprendere la corsa. 

Arrivato nei pressi del civico 12 si ferma approfittando di prendere fiato sotto la tenda di un Caffè. È quella della Pasticceria Caffè Pirona.

Il Presnitz incorniciato nella vetrina in stile liberty cattura il suo sguardo e lo convincono ad entrare. Il profumo dello zucchero si mescola a quello della cannella e dei chiodi di garofano. Lo spazio è contenuto e il banco in legno di ciliegio non ostacola lo sguardo dello scrittore che tende al laboratorio subito dietro.

Una fetta di questo dolce di tedescheria (citando l’Artusi) e un caffelatte” si affretta ad ordinare Joyce ancora infreddolito. Il primo sorso al libidinoso cappuccino in tazza grande lascia la sua traccia: sui baffi di James una goccia di schiuma e nella sua mente una nuova idea. 

Dublino, Leopold Bloom, i tradimenti e la femminilità: tutte idee immense nate nei pochi metri quadri di Pirona. Ulisse, il monologo interiore, capolavoro modernista, lascia ancora in bocca un buonissimo sapore di caffè!

statua di James Joyce a Trieste
La statua di Joyce a Trieste realizzata dallo scultore triestinino Spagnoli nel 2004

Magris “naufrago” al Caffè San Marco.

«Il caffè è un luogo della scrittura. Si è soli, con carta e penna e tutt’al più due o tre libri, aggrappati al tavolo come un naufrago sbattuto dalle onde. Pochi centimetri di legno separano il marinaio dall’abisso che può inghiottirlo, basta una piccola falla e le grandi acque nere irrompono rovinose, tirano giù. La penna è una lancia che ferisce e guarisce; trafigge il legno fluttuante e lo mette in balia delle onde, ma anche lo rattoppa e lo rende di nuovo capace di navigare e tenere la rotta».

Dal 1914, in via Battisti 18, vi è il Caffè San Marco a cui Claudio Magris dedica l’omonimo racconto contenuto nella sua opera Microcosmi

Nell’estratto sopracitato lo scrittore ne ritrae un dipinto emotivo estremamente realistico. 

Si dice che sul suo tavolo, ancora oggi riservato, Magris metta su carta le storie e i ritratti dei suoi testi.

uomo che  scrive al atavolino di un bar con accanto una tazza di caffè

Non è difficile credere che questo accada davvero: l’arredo in mogano, i tavolini di marmo e ghisa, le foglie di caffè e i fiori in un contesto che dà voce alla Secessione Viennese sono solo la prima carezza che si riceve entrando al Caffè San Marco

La sensazione di essere in un luogo sovraffollato di cultura, di erudizione e di idee è esplicita non solo per Magris, anche per Italo Svevo, Umberto Saba, Gianni Stuparich, Fulvio Tomizza, James Joyce e tanti altri che lì dentro hanno scritto un consistente contributo per la letteratura europea. 

Col suo racconto sul Caffè San Marco, insieme agli altri del libro, Magris ha vinto nel 1977 il Premio Strega.

A questo punto vi chiederete: cosa ordina di solito Magris quando e lì? 

Sono qui al Caffè San Marco a scrivere anch’io aggrappata al tavolo nella speranza di incontrarlo e di chiederlo a lui!

mano di donna che scrive a penna su dei fogli

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Crediti foto: Canva

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Curiosa, sincera e testarda, Linda, laureata in Scienze Gastronomiche, ama raccontare storie: quelle del cibo e di chi lo produce, di chi lo trasforma e di chi, semplicemente, lo mangia. Per lei il cibo è infatti il linguaggio più comune per parlare di un popolo o di un territorio. Linda mangia i libri e legge il cibo!

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