L’Argine a Vencó non ha un nome scelto a caso. È in una terra di confine, tra Italia e Slovenia, e che bacia l’argine di un corso d’acqua. Antonia Klugmann, triestina di origine, di confine lo è dalla nascita. Ma ancor di più. Perché non solo ama la libertà di vivere un territorio tra due culture, ma soprattutto desidera la libertà in senso lato e assoluto. La libertà di isolarsi da tutto quando ne sente il bisogno, nel buio del Collio dove a fare compagnia ci sono il canto degli uccelli e il profumo delle erbe selvatiche; ma poi connettersi, raggiungere il primo aereo e volare lontano.
L’Argine a Vencò è verde, come l’orto di Antonia antistante il ristorante, come le immense colline ricoperte da boschi e abbracciate dalle viti dove l’Argine abita.
Verdi sono i piatti di chef Klugmann, non necessariamente per il colore, ma per i profumi e aromi che ti esplodono in bocca ad ogni forchettata. Le “erbacce” dominano, senza scivolare nella sazietà degli aromi, ma anzi stupendoti ogni volta nella loro delicata intensità.
I fiori e il miele addolciscono il tuo sorriso quando frantumi il “biscotto” e irrompi sulla mela, in una pioggia di fiori di campo… ma questa è già la fine, il dessert, dopo un lungo percorso in cui il finocchio rende il brodo dei tagliolini dolce amaro e l’abete punge i sensi, mentre i piselli freschi e croccanti nuotano nel risotto cercando di confondere le erbe spontanee.
L’amaranto e il girasole supplicano il ruolo di protagonisti in “Semi”, un piatto il cui nome già descrive l’essenza, quella “semplicità” geniale che quinoa, sesamo e papavero completano. Marrone terra e marrone semi, appunto, per un sapore così ampio che quasi sorprende l’occhio che non sapeva cosa prevedere.
E se dal midollo ti attendi un primo attore assoluto, la ricotta affumicata sgrassa il palato e lascia spazio al profumo verde speziato; verde che diventa brillante nei cavoletti di bruxelles, così allegramente pronti a vestire la frutta secca in conserva.
Nel verde Antonia Klugmann mi accoglie, viso pulito dal sorriso sempre pronto a infondere pace e serenità, anche dopo il lungo servizio; quella stessa serenità che si respira nel giardino dell’Argine e tutto intorno, fino ai piatti, coerenti all’essenza di una donna che ha fatto del suo lavoro la sua vita e che senza quel lavoro non racconterebbe nè amerebbe se stessa allo stesso modo.
Piccola ma immensa. Occhi attenti nei miei occhi, coi capelli raccolti e un po’ spettinati a incorniciare la sua spontanea bellezza. Parchè lei è così, l’istinto meraviglioso e determinato di una ragazza che a 31 anni decise di inseguire un sogno, perché “non è possibile aspettare di avere 70 anni per vivere dove vuoi e fare quello che ti pare”. Ma senza essere ingenua e sprovveduta: l’Argine è stata una conquista lunga e dura, “un gran casino” ammette ridendo.
Una donna che ama i cuochi, quelli che ce l’hanno fatta con il sacrificio, con ore infinite di lavoro; quelli che non hanno contraddetto se stessi e che nel piatto li ritrovi, coerenti al loro vivere e al loro carattere.
E nei suoi piatti ritrovi lei, Antonia Klugmann, vera e determinata, fanciulla e così adulta, ma che sa sognare e che vive la vita come se tutto fosse ancora da conquistare.
Guardo il mondo attraverso un calice, lì seduta all’Argine a Vencó; ed è ancora verde oltre il bicchiere e oltre la vetrata, mentre il profumo di un altro piatto mi solletica il naso; e già so che leggerò quel libro sulle “erbacce” che Antonia mi ha consigliato di leggere …