Cibo e musica sono macrocosmi che toccano la vita di ciascuno di noi. Il primo è elemento indispensabile alla sopravvivenza fisica, la seconda a quella mentale.
Componenti fondamentali dell’esistenza umana che, benché apparentemente distanti, conservano un legame perenne.
“Ma che ce frega ma che ce ‘mporta, se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua” avrebbero cantato Mozart e Beethoven insieme a Lando Fiorini nella “Società dei Magnaccioni”.
Geniali alla tastiera ma non altrettanto dotati di buon gusto a tavola, Amadeus e Ludwig preferirono sempre locali di scarsa qualità ad una cucina ricercata.
Nel 1977 Pino Daniele scrisse un vero e proprio inno intitolato “Na Tazzulella ‘e caffè”, arrivando però più di duecento anni in ritardo alla “Cantata del caffè” di Bach.
Quando Omero, per bocca di Odisseo, lodò l’ospitalità di Alcinoo si rifece al concetto di Convivio, lo stesso che ispirerà nel 1974 “Aggiungi un posto a tavola” intonata da Johnny Dorelli.
Insomma, il cibo e la musica hanno una relazione che dura da sempre e che fonda le sue radici nel mondo antico.
Cibo e musica nella storia.
Fu il flauto il protagonista dei banchetti greci: prima del pranzo venivano intonati i PEANA, canti di gioia di carattere liturgico rivolti ad Apollo.
La musica accompagnava l’intero pasto. Al termine del simposio poi, i commensali celebravano l’amore e il vino con canti in ritmo trocaico-giambico chiamati SCOLIA.
Questo strumento fu oggetto anche della prima astensione dal lavoro di cui si ha notizia, l’odierno sciopero, nel 390 a.C. proprio a causa di una disputa culinaria: ai flautisti, infatti, fu vietato dagli ultimi censori di cenare, secondo l’antico rito religioso, con gli avanzi del sacrificio nel tempio di Giove.
I servitori della Cena di Trimalchione, descritti da Petronio nel Satyricon, preposti al servizio di cibi e bevande sono capaci di canti e danze: ogni gesto, ogni movimento è accompagnato dalla musica come vi fosse un filo armonico ad unire ogni atto in un’unica coreografia.
Nell’antichità, quindi, la cucina non prescindeva dalla musica. Erano arti inseparabili e chi operava nel settore doveva avere competenze che coprissero l’intero cosmo del Convivio.
La Tafelmusik.
Il Settecento fu per la gastronomia un anno denso di scoperte che plasmarono le abitudini della tavola, tanto quella ricca, quanto quella povera.
Nacquero in questo contesto due salse che hanno cambiato la storia della cucina: maionese e besciamella.
Nella stessa circostanza vi fu l’apogeo della Tafelmusik: l’intrattenimento musicale organizzato intorno ad una tavola imbandita, oppure il complesso musicale predisposto all’esecuzione o la raccolta di brani da suonarsi nella circostanza.
Georg Philip Telemann ne fu massimo esponente, ma vanno ricordate anche opere come Water music e Fireworks music di Haendel.
Nel 1738 Lebas, noto per aver inventato l’odierno dado da brodo, pubblicò Le cuisine en musique: un curioso libro di cucina in versi con annesse le musiche, celebri motivi dell’epoca, su cui intonare le ricette stesse.
L’autore intendeva permettere alle signore
“di insegnare cantando a fare intingoli e salse a qualche loro subalterno”.
È sempre in questo periodo, inoltre, che vengono importate in Europa da altri continenti bevande nuove: caffè, tè e cioccolata, note per il vantaggio di svegliare, brillare e favorire le conversazioni senza alterare le capacità cognitive come invece fanno birra e vino.
Nacquero così a Vienna, i caffè-concerto dove ebbe forte sviluppo il valzer.
Mozart alternava caffè a interpretazioni al pianoforte. Beethoven si esibì al caffè del Prater mentre Schubert riuniva i suoi amici al Cafè Bogner per ascoltare vari artisti suonare la sua musica.
Il 2 giugno 1899, il giorno della morte di Johann Strauss Junior, segnò la fine di un’epoca.
L’arrivo del jazz trasformò i caffè in luoghi da ballo agitati da nuovi ritmi afro-americani e il valzer divenne un divertimento anacronistico.
“I vini del Reno sono adatti per scrivere musica sacra, il Borgogna per l’opera seria, lo champagne per l’opera comica, i vini italiani per le canzonette”
scrisse Hoffmann.
Il cibo nei testi musicali come veicolo di messaggi sociali.
“Potetos, potatos… tometos, tomatos” cantavano Ginger Rogers e Fred Astaire, a disegnare le differenti visioni di vita tra i due in “Let’s call the whole thing off” nel 1937.
“When the moon hits your eye
Like a big-a pizza pie
That’s amore
When the world seems to shine
Like you’ve had too much wine
That’s amore”
cantava Dean Martin quando nel 1953 decise di scrivere un inno all’amore che solletica l’appetito.
Una canzone contro la guerra, una canzone che parla di rivoluzione: “Viva la pappa col pomodoro” del 1964 nasce come sigla de “Il giornalino di Giamburrasca”, ma diventa subito un dei motivetti più noti e cantati dagli italiani.
È una ricetta sì, ma è anche la metafora della vita “A Cimma” di Fabrizio de Andrè.
Piatto ligure, la cima è una tasca di vitello farcita con diversi ingredienti e bollita nel brodo di verdure, un piatto complesso da preparare e pieno di insidie proprio come la vita.
È stato naturale per molti autori scegliere di veicolare un messaggio sociale, un concetto universale o la propria posizione attraverso ciò che è di pubblico dominio, qualcosa che tutti conoscono.
Il cibo fa da tramite a un pensiero che così arriva nitido e globalmente accessibile.
Cibo e musica: il suono che influisce sul palato.
Diversi studi svolti presso l’Università di Oxford e all’University of Arkansas hanno dimostrato che la percezione del gusto varia in base alla musica che si ascolta durante l’assaggio.
Qualcuno sostiene, ad esempio, che il jazz renda più piacevole il gusto del cioccolato, altri che suoni acuti enfatizzino il sapore dolce e quelli più gravi il sapore amaro.
Queste deduzioni hanno diverse applicazioni: alcune aziende e ristoranti, infatti, hanno deciso di accompagnare le degustazioni dei proprio prodotti a diversi stili musicali in modo da esaltarne le note più ricercate.
Anche il nostro modo di cucinare può essere suggestionato se accompagnati da una qualsiasi melodia: il ritmo, infatti, scandisce i movimenti e il rilascio di dopamina legato al suono amplifica il grado di piacevolezza.
Una melodia per affinare il vino: (sol)lecitazione musicale.
Più di qualche cantina, come anche le distillerie, ha deciso di utilizzare le vibrazioni della musica durante il processo di affinamento.
Pare che questo caratterizzi vino e distillati di una complessità aromatica unica. In una cantina piemontese, l’attività dei lieviti è, infatti, condizionata dalle vibrazioni del suono dell’opera appositamente scritta da Ezio Bosso, riprodotta all’interno della cupola che culla il vino.
Ho letto una riflessione molto bella: “il cibo e la musica hanno in comune la dissolvenza, si concludono nel tempo di un pasto o di una canzone, ma in fondo non finiscono mai, perdurano lasciandoci il piacere”.
Quante volte, infatti, ci capita di collegare un piatto o una canzone ad un ricordo?
Entrambi provocano in noi emozioni che ci arricchiscono sì nel momento che le proviamo, ma che poi rimangono conservate in quel cassetto della nostra memoria che si apre spontaneamente quando ci ritroviamo davanti un piatto di lasagne fumanti che ci ricorda quelle di nonna, le più buone del mondo; oppure quando risentiamo per caso una canzone e ci riporta a quella lontana sera in spiaggia al tramonto; o ancora quando il profumo di un vino ci riporta a quel giorno in cui…
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