Non solo Gulyás, zuppe e patate. A Budapest esiste una piccola gemma nascosta
che eleva la materia prima a piatti gourmet. Come è stata l’esperienza in un
ristorante stellato all’estero, il Babel Restaurant? Ecco come è andata.
Goethe sosteneva che “la vita è troppo breve per bere male” e aggiungerei anche per mangiare male. Essendo io una persona che trae quasi ogni gioia dal buon cibo, con una curiosità e passione per la cucina gourmet, quando ho comprato il biglietto aereo per Budapest, non ho potuto resistere alla tentazione di prenotare in uno dei migliori locali della capitale: il Babel Restaurant.
Una Stella Michelin, il ristorante è situato in pieno centro storico e dal 2014 sorveglia il Danubio protetto dall’Erzsébet Bridge. Sulla pesante porta in grigio Fumo di Londra troneggia La Targa: un quadrato rosso rubino incastonato sull’architrave principale come un gioiello della Corona. Le ampie vetrate: un chiaro invito ad entrare.
L’atmosfera è rilassata con i comodi divanetti verde smeraldo in contrasto con lo stile industriale dalle finestre. Un’ammiccante design che ricorda le costruzioni oniriche di Lloyd Wright fatte d’ incastri in vetro, pietra, legno e sprazzi di acero.
Non è il fine settimana, eppure molto presto le sedute disponibili si riempiono di commensali. Alcuni, ungheresi, sembrano addirittura essere abituè del locale.
Sulle eleganti tovaglie pantone blu polvere non vi è nulla: un’enigmatica mise en placè che si rivela nel corso della cena alternando posate e piatti in base alle portate che arriveranno.
Il servizio e il menu del Babel Restaurant.
Che il servizio sarebbe stato giovane e attento era intuibile dal momento stesso della prenotazione online: due turni per due menu degustazione: uno da 8 (Exploration) e uno da 13 portate (Experience). Niente carta per una maggiore organizzazione.
Da Babel andateci dunque quando preferite. Che siate amanti del chiacchiericcio del weekend o preferiate il cauto infrasettimanale.
Qui le parole sembrano d’ovatta e gli argomenti intavolati si alternano pacati e con garbo, un po’ come i piatti che verranno serviti. Il fermento è sempre lo stesso e la squadra è preparata agli avventori gourmand che varcano la porta quotidianamente sempre con entusiasmo e frequenza.
La cena inizia con due accattivanti amuse bouche: l’utilizzo del pesce di fiume e di lago (freschissimo), evidenzia da subito un chiaro legame con il territorio. Croccante, affumicato e burroso si condensano in un unico morso che lascia pregustare ciò che sarà il proseguo del menu.
Esuberante lo scambio di identità di trota nell’ostica dove il pesce viene condito all’interno del prezioso guscio e la salsa di ostrica è imprigionata in un waffle che con un sonoro crunch anticipa la croccantezza del morso. Le tecniche di cottura, perfette. L’esecuzione, sublime.
Il Casino Egg, che si può richiedere come portata extra per 23 euro in più, sembra stuzzicare la curiosità interrompendo la ritmicità della cena. Sotto la spuma uno scrigno vegetale che racchiude tuorlo marinato e gelè all’aceto di mela. Sopra, una quenelle di caviale di Storione.
Accanto a me due donne badano poco al pasto barricate dietro una sfilza di calici vuoti. Mentre le borsette nere griffate abbandonate sul cotone verde restano lì a guardarle, le due amiche sembrano essere lì solo per la compagnia, perché non si incontrano da tempo, per sapere chi adesso aspetta un figlio o si sposa o finalmente diventerà socia dello studio legale in cui lavora da anni.
Poi, la cameriera mi annuncia con voce di zucchero la portata principale: Filetto di cervo, asparago blanciato e olandese all’aceto di pere di Susanne Daucher, una produttrice locale.
Vedendolo da lontano pregusto già la mia porzione con la succulenta crosticina all’esterno e il rosso fiammante della carne all’interno.
Mi beo di quella gioia unica che tutti conosciamo: quella di vedere il proprio piatto finalmente avvicinarsi al tavolo. Assaggio. I sapori sono precisi e potenti. Nulla di diverso da quanto mi aspettavo.
Il patrimonio culinario ungherese.
La cena al Babel Restaurant si conclude con il dolce e la piccola pasticceria, niente pre-dessert a ripulire il palato. Il viaggiatore deve tornare a casa. Il costo del biglietto è di 210 euro a persona con un buon 17% di servizio da aggiungere.
Uscendo dal locale e osservando Pest che mi ricambia l’occhiata malinconica oltre il fiume, inizio a chiedermi se in fondo non ho sopravvalutato le mie capacità di adattamento al nuovo e se mi fossi recata nel locale davvero libera dalle aspettative.
La risposta è: non così tanto.
Per tutta la cena non ho fatto che attendere la portata saziante, quella che segna il “ko tecnico”. Ma non è arrivata.
Si è trattato di un delizioso percorso gustativo dove l’obiettivo era mostrare il patrimonio culinario ungherese e delle Nazioni che lo hanno influenzato ai tempi dell’impero Austroungarico.
Un progetto chiaro e preciso.
Niente inflazionassimo innovazione nella tradizione, solo ingredienti del territorio cucinati bene ed esaltati nella loro essenza.
Con questo viaggio al Babel ho capito che bisogna partire sempre chiedendoci se siamo davvero liberi dai pregiudizi per poter gustare appieno un’esperienza gastronomica nella sua vera natura.
In una Nazione dove si fa la guerra al “se devo mangiare così poco tanto vale andare in trattoria”, all’estero i clienti sembrano accettare e avvalorare la qualità sulla quantità senza domandarsi se il pub sotto casa sarebbe stata la scelta più intelligente.
Babel Budapest
1052 Budapest, Piarista köz 2
info@babel-budapest.hu
+36 70 6000 800
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