Varchiamo la soglia di “Corteccia”, a Milano, già sicuri che quella scritta del colore del legno, in una grafica semplice e immediata, abbia in sé l’essenza di un concept che non lascia nulla al caso.
Illuminazione calibrata e non invasiva; le tonalità sono quelle della terra, a ricevere gli ospiti in un gioco di calore creato dall’abbraccio di marrone, ocra e arancione. Non mancano pareti dalle tappezzerie psichedeliche, tra cui quella all’ingresso a tripla altezza, ad accogliere arredi vintage che, assieme a quei tessuti, riportano immediatamente alla memoria gli anni Settanta, tanto cari al nuovo padrone di casa, il cui ritratto, firmato dal fotografo Lido Vannucchi, inneggia nella sala privé.
Corteccia è un ristorante pensato nei dettagli per essere funzionale e accogliente. Un confort che però non manca certo di carattere, perché questo nuovo format ristorativo porta la firma dell’anticonvenzionale Cristiano Tomei.
Lo chef de L’Imbuto inaugura infatti il 2023 approdando nel centro nevralgico degli affari milanesi, al civico 12 di Corso Europa. E se l’invito al vernissage citava che “Milano non sarà più la stessa” la volontà dichiarata, all’apertura del 19 gennaio, è quella di “non voler cambiare niente ma solamente divertirmi”.
Ma in fondo è così Cristiano Tomei: un mattatore o, come lo definiscono tutti, un cuoco istrionico, che dal 2002 (anno in cui aprì il suo ristorante in un capanno nella pineta della spiaggia di Viareggio) non ha mai smesso di portare in tavola la sua filosofia di cucina. Un’idea precisa e solida, una consapevolezza nata sull’onda dei viaggi giovanili tra i mercati e i locali di tutto il mondo, che promette di portare a Milano un’osteria contemporanea.
Progetto ristorativo ideato e realizzato da Food Media Factory (partecipata dalla AB Normal di Alessandro Borghese), Corteccia comunica in modo diretto e creativo la firma di Cristiano Tomei: un’offerta basata su piatti dalle solide radici che uniscono territorio, tradizione e apertura al mondo. Ma siccome siamo a Milano, l’offerta è un po’ alleggerita, per accogliere i gusti e le esigenze di un pubblico vario, da quello business a quello più giovane.
Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato con chef Tomei a pochi giorni dal suo debutto milanese.
Cristiano, come è nato questo progetto?
“Come tutte le cose belle della vita, è un progetto nato un po’ per caso. All’inizio ero un po’ scettico ma quando mi dissero che il progetto doveva essere avviato a breve ho detto ma sì, andiamo! È un po’ come quando è nato L’Imbuto: un incrocio di coincidenze ha fatto sì che l’avventura iniziasse. È un segnale positivo e quindi spero che anche Corteccia superi i 22 anni di vita come L’Imbuto! Molti mi hanno chiesto e mi chiedono se sono spaventato, preoccupato, ansioso per questo nuovo progetto proprio a Milano. Ma io in verità sono molto tranquillo, anzi sono entusiasta”.
Come nasce il nome “Corteccia”?
“Uno dei miei piatti iconici è la Bistecca Primitiva, carne cruda di manzo servita con il suo grasso su una corteccia di pino caldo. È un piatto che da quasi quattordici anni non propongo più nel menu alla carta, ma che non potrei mai togliere dai percorsi degustazione. Quelli fighi direbbero che è un ‘signature dish’ – ride -, io dico che semplicemente è un piatto che mi rappresenta moltissimo. La corteccia poi noi la esicchiamo e ci facciamo una farina, il pane, ci impaniamo il pesce. Infine, la corteccia rappresenta il mio aspetto selvatico, ha un significato allegorico: sono un omone con una corteccia dura, soprattutto sul lavoro, ma sotto c’è un cuore che ama la cucina. Dentro sono dolce come un cioccolatino – ride ancora -”!
Raccontaci più nel dettaglio questo format milanese.
“Premetto subito che non sono venuto a Milano perché voglio fare qualcosa di nuovo. Voglio essere Cristiano a Milano. Quando Cristiano è al Bauer di Venezia fa una cosa, quando è al suo ristorante a Lucca ne fa un’altra… qui a Milano ne faccio un’altra ancora. Ma sono sempre io.
Il menu di Corteccia è strutturato in una lista di pietanze non suddivise in antipasti, primi e secondi. Visto che siamo in una zona d’affari abbiamo voluto evitare di creare imbarazzo ai clienti. Vieni a pranzo, prendi un solo piatto e non ti senti in dovere di fare un percorso”.
Niente menu degustazione quindi?
“Sì c’è. Uno solo, al buio, proprio come a Lucca. Quello che voglio fare a livello culinario è proporre una cucina molto diretta, una cucina ad alta densità di sapore”.
Cosa significa?
“Ci dimentichiamo spesso che per mangiare meno bisogna mangiare in modo molto saporito, che altro non vuol dire che mangiare cibi autentici, freschi e di stagione.
Ispirandomi all’amico e grande cuoco Paolo Lopriore, accompagno sempre i piatti con dei contorni, proposte che stuzzichino il palato. Ad esempio, facciamo un carciofo prima passato al forno e poi fritto alla Giuditta. I gambi vengono stufati in umido. E poi c’è il carciofo crudo servito con una salsa realizzata con le sue foglie più dure. Insomma, voglio proporre una cucina che coinvolga attraverso il gusto, ma che sia anche divertente, che riempia il tavolo”.
E la sala?
“Dobbiamo prendere un po’ le misure, ma i cuochi entreranno sempre più in sala. Abbiamo già un bancone che è un’estensione della cucina su cui cuochi e pasticceri lavorano, ma voglio di più. Voglio che ci sia un’apertura totale verso il cliente, uno scambio diretto con la cucina. Non deve essere solo uno scambio di pensiero, il cibo deve essere affettuoso.
A Milano più che mai la cucina deve essere confortante. Tra i miei pochi piatti che da Lucca sono approdati a Milano ci sono i ‘Pennoni panna e prosciutto’: dei pennoni conditi con burro acido affumicato, panna fresca e prosciutto crudo di Langhirano, che sono un sogno. È uno di quei piatti in cui c’è certo tanta tecnica, ma ciò che prevale è la goduria ad altissimi livelli”!
A proposito di piatti e goduria. Tu sostieni che con il cibo bisogna raccontare delle storie e non inventarle. Cosa vuol dire?
“Quando sento dire che i cuochi inventano i piatti rabbrividisco; è una balla colossale! Il cliente non deve preoccuparsi del pensiero del cuoco, perché è attraverso i piatti che uno chef parla ai clienti.
Noi cuochi, se da una parte siamo un po’ sfigati perché facciamo orari allucinanti, dall’altra siamo fortunati perché abbiamo l’opportunità di condividere la nostra vita, le nostre esperienze, con un linguaggio che è quello della cucina.
Ed ecco perché qui Cristiano Tomei sarà sempre di più il Cristiano a Milano. Il menu di Corteccia cambierà perché si intensificherà il mio rapporto con la città, dal punto di vista culinario ma anche da quello esperienziale, di vita.
Ora sono padre di famiglia e un ragazzo responsabile – ride – , ma qui a Milano a suo tempo ne ho combinate di cotte e di crude”!
A livello pratico come ti organizzerai con gli spostamenti?
“Sono abituato a spostarmi spesso. Lucca, Venezia, Milano. A Milano venivo già spesso per gli eventi e impegni televisivi e rispetto a Venezia è una città molto più pratica. Non ci sarà un giorno fisso in cui sarò al Corteccia, anche perché sono un fortissimo sostenitore della fiducia che bisogna dare alla brigata”.
Come ha costruito la brigata qui a Milano?
“Sono tutti ragazzi che mi seguono da tempo. C’è una parte della brigata che era a Venezia, straordinariamente bravi! Il resident chef è Fabio Anello, mentre alla guida della sala c’è lo spettacolare Giorgio Di Nunno”.
Ti chiamano lo chef istrionico, ti riconosci in questo appellativo? Chi è Cristiano Tomei?
“Sì me lo dicono in molti, ma in verità sono una persona che vive in una dimensione molto sua. Sono un uomo che assorbe molto quello che gli sta intorno. E sono una persona molto inclusiva, davvero molto. Non sopporto chi non lo è.
Cristiano è estremamente curioso. Sono oltre 22 anni che gestisco il mio ristorante, eppure mi sento ancora un neofita e mi sorprendo molto, ad esempio, quando si monta la maionese. È questa parte del fanciullino che è in me e che spero non muoia mai che mi tiene in piedi.
Infine, seppure io sia molto rigido sul lavoro, mi piace divertirmi. Anche con i clienti in sala adoro parlare non solo di cucina; mi piace ridere e scherzare con loro. Perché in fondo la cucina è un linguaggio per far avvicinare le persone”.
Quale è la cosa che più ti fa arrabbiare?
“La moda in cucina! Gli ingredienti che vanno di moda, le tendenze, l’obbligo di… è una cosa un po’ milanese diciamoci la verità. Quello che mi fa arrabbiare è che in un Paese come il nostro non abbiamo problemi a reperire la grande materia prima.
Milano non è una metropoli infinita ed è circondata da campagne stupende dove si coltivano verdure incredibili, si allevano animali buonissimi; intorno ci sono le montagne, i laghi, i fiumi. Insomma, anche Milano offre incredibili opportunità per reperire ottime materie prime e non vedo perché bisogna sempre andare lontano per poter fare piatti”.
Cosa cucineresti tutti i giorni?
“Non ho un ingrediente o un piatto preferito, vario moltissimo.
Certo sono un po’ malato di carboidrati: pasta, pane! Ma amo moltissimo anche le verdure, tanto che ho un’azienda agricola in cui le produco.
Ieri sera mi sono preparato uno sformato di cavolfiore, andava oltre la libidine! Sono quei piatti che trovo abbiano proprio un aspetto erotico quando li mangi! Penso anche a una fetta di pane con della mortadella tagliata sottile, che è una delle cose più buone del mondo. Oppure un’acciuga fritta, ovviamente con la lisca, perché chi cucina o mangia le acciughe sfilettate è un assassino!
Sono quelle gioie che la vita ti regala, ma soprattutto che la natura ti suggerisce; sì perché in fondo è la stessa natura a dirci cosa mangiare e come comportarci. D’inverno se hai freddo mica vai in giro in bermuda! Allo stesso modo quando fa freddo mangi la Cassola, oppure una verza stufata o, sei vivi come me in toscana, la farinata di cavolo nero.
Purtroppo, siamo diventati animali un po’ strani, vogliamo avere sempre tanto e tutto e questo è sbagliato.
Dovrebbero davvero fare i frigoriferi grandi come due buste di latte – provoca ridendo, ma non troppo, Cristiano Tomei –. Così ogni giorno facciamo la spesa e consumiamo ciò che abbiamo acquistato; e se non abbiamo, o non troviamo, il tempo per andarci a comprare da mangiare, allora è giusto che il genere umano si estingua”!
Cristiano, riassumiamo i messaggi e valori che la tua cucina vuole trasmettere?
La convivialità, la goduria: la cucina è questo. Anche la ritualità della tavola, che per noi italiani è importantissima. L’amore nasce a tavola, gli affari si fanno a tavola, si va a cena con gli amici, i figli si riuniscono a tavola quando ci sono problemi, eccetera.
E poi la sostenibilità, che è una parola abusatissima ora, ma la vera sostenibilità passa assolutamente attraverso quello che si mangia. Che non significa fare scelte drastiche e drammatiche e dunque tagliare un certo tipo di alimentazione, ma significa avere un’alimentazione consapevole: della stagionalità, di chi produce gli alimenti.
Significa sostenere i piccoli artigiani e produttori, e significa mangiarsi una bella cipolla unta, con del buon olio di oliva e un po’ di aceto di quello vero. Questa è la vera sostenibilità! Non i voli pindarici acclamati da persone che poi hanno i carrelli pieni.
Quello che dobbiamo fare è una riflessione consapevole tutti insieme, con tranquillità, senza attaccarci, perché questo è il momento di essere consapevoli. E se una persona compra una zucchina a gennaio è giusto che gli venga la diarrea!
Battute a parte, è sbagliato comprare e portare in tavola prodotti che in quel momento la natura non ci offre. Una zucchina a gennaio è un non senso, proprio come andarsene in giro in bikini con due gradi sottozero.
Una carota comprata in una scatolina di plastica è una carota morta, una carota che ha il ciuffettino invece è una carota viva. Ed eccoci allora tornati a quello che dicevo prima: la densità del gusto, l’importanza di mangiare in modo saporito, con ingredienti veri e di stagione.
Solo così mangiamo meno e siamo più soddisfatti”!
Cristiano Tomei, lo chef istrionico sì, che a modo suo, tra una battuta provocatoria, una risata, un termine toscano e qualche sana parolaccia, mantenendo fede alla sua cifra stilistica sa farci riflettere sull’importanza di una scelta di alimentazione consapevole e farci comprendere appieno la sua cucina rivoluzionaria ma concreta. La stessa “cucina del mercato” goduriosa che ora ci aspetta anche a Milano.
Sotto la Corteccia, una cucina ad alta densità di sapori!
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