Un tentativo di rinnovamento malriuscito o una visione che preannunciava una strada da seguire? La missione della cucina futurista e i dogmi dell’Italia da sradicare.
La cucina futurista, o “cucina futurista italiana”, è una parte del movimento artistico e culturale noto come futurismo, che emerse in Italia all’inizio del XX secolo.
Il futurismo: un inizio promettente.
Il Futurismo precede, attraversa e sopravvive alla Prima Guerra Mondiale, precisamente dal 1900 al 1945.
Negli anni che anticiparono il secondo conflitto, questo movimento culturale incitava all’abolizione della poesia nostalgica, del sentimento romantico e dell’ossessione per il passato, inneggiando alle innovazioni a colpi di Zang Tumb Tumb.
La società doveva essere rimodellata partendo dalle fondamenta, eliminando tutte quelle consuetudini che rallentavano la veloce macchina del progresso.
Niente romanticherie, poiché tutto si distrugge, tutto si trasforma.
Tutto. Anche il cibo.
Il Santo Palato.
È il 1931. Nella città della Mole Antonelliana un magnate industriale avvolto da un pesante cappotto sta per entrare nella trattoria più chiacchierata del momento. Dopo essersi accomodato su una sedia in legno massello, circondato da colonne luminose e pareti tinteggiate in alluminio, gli viene esibita dal cameriere la lista delle vivande.
Il pasto che consuma è qualcosa di completamente alieno; pietanze servite senza posate e cibi dai nomi spigolosi tra cui il “carneplastico” o “pollo d’acciaio”. I piatti compongono una cena che desta molti dubbi nel commensale, abituato finora ai rotondi agnolotti e brasati al barolo.
Siamo alla Taverna del “Santopalato”, il primo ed unico ristorante futurista, partorito dalle menti di artisti appartenenti a quel movimento.
Il concetto futurista.
Sebbene oggi siamo abituati a sentir parlare di giocolerie gustative, all’inizio del Novecento i piatti tendevano al monotono, con il semplice scopo di riempire lo stomaco il più possibile.
Il futurismo, e con lui la cucina futurista, sfonda le paratie stagne del bon ton, ingaggiando una battaglia contro i canoni alimentari della tavola italiana.
Le forchette e i coltelli dovevano essere eliminati per favorire bocconi “simultaneisti e cangianti” in un mondo che viaggiava sempre più veloce sui binari del progresso.
La parola chiave? Energia! Che avrebbe spalancato le porte verso un futuro radioso.
Ed ecco il motivo per cui la pastasciutta, accusata di portare fiacchezza e di rallentare la digestione, doveva sparire dal mercato, lasciando spazio a polpettoni conditi con miele, ad acciughe abbinate a banane e a ciliegie sotto spirito avvolte da ricotta, uova e noce moscata.
Un concetto culinario che venne eternato su carta da Filippo Tommaso Marinetti, che nel 1909 pubblicò il Manifesto della cucina futurista, seguito poi dal libro La cucina futurista.
L’eredità della cucina futurista.
La cucina futurista è stata criticata per i suoi modi troppo esuberanti e additata come una moda puramente elitaria, per non parlare poi delle varie controversie legate agli ideali violenti e all’etica del movimento.
Inoltre, osservando le longeve tradizioni nate dalla culla gastronomica italiana, quella della cucina futurista è solo un breve schiocco di dita che sembra non aver lasciato niente di interessante a noi contemporanei.
Tuttavia, se un cuoco leggesse ora le varie ricette, dove i filetti di montone venivano nappati sui piatti con della bisque, le aringhe accompagnate da gelatine alla fragola, potrebbe intuire delle similitudini con la Nouvelle Cuisine. E non avrebbe torto.
Uno degli obbiettivi di questi letterati era infatti quello di snellire le salse, alleggerire i condimenti e rendere le preparazioni più digeribili. Dopotutto, la dinamicità era la regola.
Ma il pasto non doveva solo coinvolgere il gusto; l’atto tradizionale del mangiare doveva evolversi per andare a coinvolgere tutti i sensi, diventando così uno stimolo sia per il corpo che per la mente. Un esempio è il piatto “Salsa Musicale”: un connubio di sapori scelti ad hoc per poter essere serviti con un accompagnamento strumentale.
Possiamo quindi dire che le loro idee legate alla tavola hanno preceduto quelle che sarebbero arrivate dopo di loro?
Ai posteri l’ardua sentenza.
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