Al Don Lisander arriva nel menu El Tòcch de Milan.
Per arrivare al Don Lisander bisogna prima perdersi nel teatrale andirivieni di Milano: il Duomo, imponente scenografia gotica; la Galleria Vittorio Emanuele, sontuosa quinta liberty; la Scala, palcoscenico di passioni immortali. Poi, con un colpo di scena, si svolta in Via Alessandro Manzoni, e lì, al numero 12/A in un cortiletto preceduto dal cancello in ferro battuto, si apre il sipario sul Don Lisander.
Qui, dove la milanesità non è solo un’idea ma una regola non scritta, le preparazioni giocano tra cucina del prima e cucina del dopo con un nuovo protagonista: El Tòcch de Milan. Un’evoluzione dei mondeghili che non si
accontenta di essere un semplice ricordo delle nonne meneghine, ma aspira a diventare un’icona del gusto, un manifesto gastronomico della città. Un piatto che, come Milano stessa, sa essere elegante senza sforzo.

La trama del piatto.
Ecco allora che El Tòcch de Milan, diventa viaggio in cinque atti – o meglio, in cinque mondeghili – ognuno con un’anima, una storia e un morso di tradizione meneghina.
Si parte con il classico, il capostipite, l’inossidabile mondeghilo tradizionale: carne mista, sapori di casa e il gusto che ogni milanese riconosce a occhi chiusi. Poi arriva la prima variazione sul tema, il mondeghilo con pasta di salame crudo, un tributo alla Brianza. Un gioco di contrasto tra caldo e freddo, morbido e deciso. Il terzo atto è puro spettacolo: il mondeghilo all’ossobuco, con il suo impasto nobile, la gremolada profumata e un disco di risotto giallo al salto a reggere la scena, perché senza risotto, che milanese sarebbe?
Il quarto mondeghilo cambia registro: il paté di fegato di pollo si posa sopra come un cameo d’autore, accompagnato da una mostarda di fichi che dà la spinta dolce e pungente al boccone. E per il gran finale? Il mondeghilo al salame di testa, rustico e robusto, lavorato con tagli del bollito e pronto a chiudere la degustazione con un colpo di scena degno di una standing ovation.
Cinque mondeghili, cinque cerchi, un’unica storia: El Tòcch de Milan non è solo un piatto, è una dichiarazione d’amore alla città e alla sua cucina. Un assaggio alla volta, porta Milano nel mondo – e il mondo a tavola.
Eppure al Don Lisander la cucina non si accontenta di raccontare Milano, la mette in scena. E per un evento da prima serata come le Olimpiadi Milano-Cortina 2026, serviva un piatto che fosse all’altezza del palcoscenico internazionale. I 5 mondeghili infatti sono un chiaro richiamo ai futuri giochi invernali e all’iconico simbolo che li rappresenta.
Da sx: Mondeghilo classico, Mondeghilo con pasta di salame, Mondeghilo con riso al salto e gremolada di osso buco, Mondeghilo al patè di pollo, Mondeghilo al salame di testa- ph credit: Ufficio Stampa Antonella Fiori
La storia dei mondeghili.
Se c’è una cosa che Milano sa fare bene, è trasformare la necessità in virtù e gli avanzi in capolavori. Il mondeghilo ne è la prova: nato come piatto povero, oggi si presenta in smoking senza dimenticare le sue radici.
Il nome? Un viaggio linguistico che parte dall’arabo al-bunduck (“nocciola”), passa dagli spagnoli con albondeguila, si fa un giro tra i dialetti meneghini come albondeghito. E alla fine, si accasa con il suono rotondo e rassicurante di mondeghilo. Ma dietro al nome c’è un’anima di sostanza: gli avanzi di carne, perché a Milano non si butta via niente, specialmente quando si parla di sapori. Brasati e bolliti delle feste si reinventano, tritati con pane raffermo, uovo e spezie, impanati e schiacciati in una forma a metà tra una polpetta e un mini-hamburger. Poi il gran finale: una bella doratura nel burro.
Oggi, con El Tòcch de Milan, il mondeghilo si evolve senza perdere la sua essenza. Da simbolo della cucina di recupero a portabandiera della tradizione milanese, pronto a farsi assaggiare (e amare) dalla platea. Perché dietro a ogni boccone c’è la storia di una città che, tra un’invasione e una rivoluzione, ha sempre saputo trasformare tutto in qualcosa di buono.
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