Il vitello tonnato sta vivendo una rinascita culinaria, attirando l’attenzione degli amanti del buon cibo e degli appassionati di gastronomia. Questo antico piatto piemontese, caratterizzato dalla delicata combinazione di vitello e salsa tonnata sta conquistando nuovi palati grazie alla sua versatilità e alle reinterpretazioni creative degli chef. In questo articolo esploreremo la moda del vitello tonnato, scoprendo un’ottima opzione per gustarlo a Milano.
“Il vitello tonnato più clamoroso della storia!”. Così ha esordito la mia amica parlando del ristorante “La Gioia” a Milano.
Giudizi importanti che suscitano profonda curiosità a chi, come me, ama il vitello tonnato.
Perché diciamo la verità “il vitel tonnè” genera un fervente dibattito tra chi lo ama e chi lo odia. Soprattutto da Roma in giù, l’ossimoro di vitello e tonno, mare e terra, disturba, genera rigetto e risulta inconcepibile.
Il vitello tonnato e la sua storia.
La ricetta è originaria del Piemonte, forse sviluppatasi nel Cuneese nel primo XVIII secolo, eppure il nome stesso nasce da un equivoco. Inizialmente, il tonno non era nemmeno un ingrediente: il termine “Tonné”, infatti, deriva dal francese “tanné”, la cui traduzione in italiano è “conciato”, o meglio condito, pasticciato.
Poiché il dialetto piemontese incorpora numerosi francesismi, potrebbe essere sorto l’errore che ha portato anche l’Artusi a includere il tonno nella sua ricetta del Vitello Tonnato pubblicata nella “Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene”.
Il celebre gastronomo romagnolo prescriveva di utilizzare “vitella di latte, nella coscia o nel culaccio”, condita con le acciughe e bollita con “due chiodi di garofano, una foglia di alloro, sedano, carote e prezzemolo”.
La carne doveva poi essere tagliata a fette sottili e lasciata “in infusione per un giorno o due” in una salsa composta da acciughe, tonno sottolio, succo di limone, olio e capperi. Niente andava sprecato: “Il brodo va filtrato e può essere utilizzato per preparare un risotto”.
È solo negli anni 60 che arriva Il girello, o magatello, una carne magra, la più lontana dall’osso della carne di Fassona (che è già un animale poco grasso), mentre la maionese diventa parte integrante della ricetta negli anni ‘80.
Dalle tradizioni alle creazioni degli chef stellati.
Negli ultimi tempi, questo piatto nazionale ha riacquistato una nuova popolarità ed è tornato in voga.
Ne riscopriamo diverse declinazioni proposte da chef stellati come Massimo Bottura: vitello tonnato rivisitato con salsa al tonno, maionese alla senape e polvere di capperi.
O Davide Oldani: con salsa al tonno arricchita da alghe e un tocco di agrumi.
Carlo Cracco: con salsa al tonno leggermente affumicata e guarnito con chips di carciofo croccanti.
E ancora il vitello tonnato con salsa al tonno e lime, accompagnato da cipolle caramellate e zeste di limone, di Antonino Cannavacciuolo.
Infine, la versione di Enrico Crippa: vitello tonnato con salsa al tonno e agrumi, servito con insalata di radicchio rosso e olive taggiasche.
Maionese sì o no?
Attenzione, Cracco argomenta che il vero vitello tonnato non prevede l’uso della maionese, bensì della classica salsa tonnata.
D’altra parte, lo chef Heinz Beck de La Pergola di Roma ha innovato creando il “tonno vitellato”, invertendo i ruoli degli ingredienti. Da notare anche il “vitel palamité” di Marco Stabile dell’Ora d’Aria di Firenze, preparato con la palamita, conosciuta come il “tonno dei poveri”. Inoltre, esistono numerose varianti che includono uova sode, carote, patate bollite e persino cetrioli, zucchine e pomodori. L’evoluzione della ricetta, pur rispettando la tradizione, continua a stupire.
Diego Rossi, lo chef di Trippa a Milano, ha rivoluzionato il vitello tonnato usando gli stessi ingredienti della ricetta classica, ma cambiando la cottura della carne per renderla più tenera e con una consistenza diversa.
Ha sostituito il taglio tradizionale con il fiocco, rosolandolo prima in padella e cuocendolo a bassa temperatura. La salsa tonnata è diventata una spuma grazie a un sifone, conferendone maggior volume, mentre sopra il piatto vengono posizionati capperi di Pantelleria per aggiungere una nota di acidità.
La mia esperienza da La Gioia.
Non potevo proprio fare a meno di provare il vitello tonnato di La Gioia, dando credito alla mia amica.
Il locale è estremamente accogliente, in stile liberty. Le pareti sono ricolme di scaffali con bottiglie di ogni tipo, il soffitto ricrea un effetto travi a vista, sul quale si arrampica una vegetazione densa che poi cade scenograficamente sulle pareti.
Queste ultime traboccano di vita, ricordi e vita quotidiana: ogni centimetro quadrato è occupato da specchi, quadri, piatti, scaffali pieni di oggetti, vasi di fiori, lampade, mentre ampie nicchie tutto intorno conservano dozzine di bottiglie di vino d’epoca. Il risultato è un ambiente caldo, intimo e rassicurante, che mette subito a proprio agio il cliente e allo stesso tempo dona un fascino elegante e mondanità.
Il menu è un’ode alla tradizione piemontese, raffinato, ma allo stesso tempo autentico , con piatti abbondanti che non hanno nulla ad invidiare a quelli della nonna. Al contempo, il servizio è attento e veloce.
Come antipasti, ho ordinato vitello tonnato e un pan brioche con alici galiziane e cipollotto, dal gusto forte e deciso (anche se mi aspettavo un maggiore contrasto tra il dolce del pane e il salato delle alici).
Il Vitello Tonnato del ristorante La Gioia.
Relativamente al vitel tonnè vi starete chiedendo se è stato all’altezza delle dichiarazioni iniziali. Dovrei provarne ancora tanti per poter decretare questo giudizio, ma certamente si è rivelato un piatto d’eccezione. La carne tenera cotta a bassa temperatura, dal colore rosaceo, delicata e tenera e tagliata sottilmente , la salsa tonnata perfettamente cremosa e la croccantezza del cappero di Pantelleria hanno reso il piatto estremamente equilibrato.
Ho adorato i tajarin al tartufo nero Uncinatum, il caratteristico aroma terroso del tartufo che pervadeva ogni boccone. La quantità generosa di tartufo nero fresco grattugiato sopra i tajarin conferiva al piatto un lusso irresistibile.
Ho avuto anche modo di assaggiare un eccellente agnello d’Alpago, accompagnato dal suo fondo e purè di patate.
Infine, sono rimasta incantata dalla pavlova. La meringa era leggera e croccante all’esterno, ma incredibilmente morbida e soffice all’interno, sciogliendosi letteralmente in bocca, con un gelato alla vaniglia cremoso e ricco, che si sposava perfettamente con la dolcezza della meringa i cui I frutti di bosco freschi aggiungevano una piacevole nota acidula e un tocco di freschezza.
Un’esperienza degna di menzione per chiunque ami il vitello tonnato!
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