Mirko Ronzoni: riccioli scomposti ma curati, occhiali rigorosamente alla moda e perfettamente intonati con il viso (e dunque beige); la barba, attentamente incolta, fa da contorno a un sorriso spontaneo; due orologi, uno per polso, e camicia azzurra a quadri.
Alle sue spalle una locandina, che lo ritrae in giacca da chef, con una frase i cui aggettivi sono scritti in colore blu: “La mia cucina estetica e creativa dove vuoi!”.
Così si presenta, pronto per quella che presto si rivelerà una piacevole e amichevole chicchierata; lui che dai tempi di Hell’s Kitchen di strada ne ha fatta molta e oggi indossa, oltre quelli di cuoco, anche e soprattutto i panni di un giovane imprenditore che si occupa di consulenza.
Un nuovo modo di fare consulenza ristorativa.
Con un occhio attento al design, alla moda e al mondo artistico, con il suo mestiere di consulente ristorativo e rispettando sempre i desideri del cliente, Mirko Ronzoni è colui che rende bello e funzionale un evento, un piatto o un locale.
Il vincitore di Hell’s Kitchen (era il 2015) ha sempre avuto un’attitudine verso la cucina, ma il desiderio di coniugare questa passione al contatto con il pubblico lo ha stimolato a raggiungere la sua dimensione facendo della consulenza ristorativa il suo business.
“Con questo mestiere sono in una posizione centrale in cui faccio l’interesse dell’azienda – spiega -, perché devo ragionare con gli obiettivi che ha il titolare, la proprietà, e curare tutto ciò che è relativo alla parte amministrativa, alla progettazione, al food cost e individuare le strategie di investimento. Dall’altra però, tengo anche un piede in cucina. Mi interfaccio infatti con lo chef, lo aiuto nella formazione dei ragazzi della brigata e nel redigere il menu”.
Ma prima di entrare nel cuore della sua professione, e per capire chi è Mirko Ronzoni, oltre il personaggio e il professionista, ci togliamo una curiosità.
Perché hai due orologi?
“Uno è la fitband, dedicata allo sport, l’altro è un orologio che utilizzo soprattutto per il lavoro. Fino a 20 anni non avevo nessun interesse verso l’orologio e non ne ho mai posseduto uno, poi, non so come, è diventata una grande passione, perché lo reputo un gioiello da uomo molto interessante e, negli anni, mi è capitato di fare anche piccoli investimenti.
In passato ho avuto anche uno Smart Watch, ma lo ho venduto dopo circa due mesi, perché era troppo: troppe email e messaggi, ero sempre collegato…, quindi ho optato solo per il contapassi”.
Mirko, l’aesthetic chef. Qual è il tuo concetto di estetica?
“L’idea è stata quella di unire il concetto di estetica, per anni appannaggio della moda, del design e del mondo artistico, alla cucina. Cerco di prestare molta attenzione al dettaglio estetico nella materia prima, ai dettagli di un allestimento di un evento, al rendere bello, colorato ed elegante un piatto. Dunque, tenendo conto anche di ciò che richiede il cliente, lo applico a tutto ciò di cui mi occupo”.
Rimanendo sempre sul discorso dell’estetica, durante la creazione di un piatto, anziché partire da un ingrediente, ti capita di pensarlo partendo da un particolare, come un colore, un quadro o un oggetto di design?
“Assolutamente sì. Per arrivare alla definizione di una ricetta non sempre si parte dal gusto che si vuole ottenere. Con il brand Ferrari, ad asempio, abbiamo lavorato su una serie di aspetti cromatici, dunque in questo caso si è partiti dal colore. Oppure, qualche mese fa ho lavorato con un’importante azienda di latticini. Volevano tenere il logo dell’azienda in bella vista anche nella creazione del dessert e così il dolce è stato studiato ad hoc, utilizzando un basamento a forma di disco.
Pensando al risultato finale, si può arrivare alla scelta della materia prima scremando gli ingredienti principali in base al colore, alla nuance cromatica del piatto e all’utilizzo del tipo di basamento”.
Spesso Mirko Ronzoni indossa una bandana colorata. In base a cosa scegli la tua bandana la mattina?
“Ne possiedo un’ottantina. Questa passione me l’ha trasmessa mio papà fin da piccolo. Nel programma Hell’s Kitchen le ho sfruttate furbamente a dovere, perché in cucina si suda abbastanza e mascherano bene. Da allora spesso le abbino ai grembiuli e al tipo di cucina che vado a realizzare, ad esempio se ho un progetto vegan/vegetariano utilizzo il verde o colori amici. Il mio colore aziendale è il fucsia, una scelta nata un po’ per caso. E sono stato fortunato, perchè poi il fucsia è diventato uno dei colori trend dell’anno“.
Oltre al cuoco, quale altro mestiere avresti voluto fare?
“Da adolescente volevo fare il dentista ma alcune bocche “imbarazzanti” mi hanno fatto cambiare idea. Avevo già la passione per la cucina e mi è sempre piaciuto stare a contatto con il pubblico.
Mi sono creato e ricreato e dopo una ricca esperienza nel backstage dei ristoranti stellati che non mi permettevano contatti diretti con l’esterno, ho evoluto la mia professione così da soddisfare questo mio desiderio di contatto diretto con pubblico e clienti.
Comunque, mi ha anche sempre molto intrigato il mondo della moda, del design, dell’arte e della progettazione. Nella vita può capitare di tutto e io sono aperto a qualsiasi cambiamento. Nessuno qualche anno fa avrebbe detto che la consulenza ristorativa avesse l’evoluzione degli ultimi anni, anche se in Italia siamo arrivati in ritardo”.
Si può dire che in Italia Mirko Ronzoni abbia dato una forte spinta all’aspetto della consulenza ristorativa?
“Già da qualche anno c’erano delle mosche rare che lo facevano. Mentre all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti, è un mercato che esiste da molto tempo.
In questi ultimi anni ho incontrato, nei ristoratori italiani, una certa resistenza. Ma più che resistenza non veniva capito dal ristoratore di cosa stessi parlando. In Italia lo chef e il maître hanno tantissime responsabilità e ne affidano al personale molte altre, cosa che all’estero non accade perché ogni figura svolge solo la sua mansione.
Ora ci si sta rendendo conto che avere un occhio esterno, un professionista, che non è presente tutti i giorni nella tua azienda, ti può aiutare a studiare nuove strategie”.
Cosa ti ha attratto di questa attività?
“Mi ha attratto l’idea di poter essere poliedrico, quindi non essere chiuso in una cucina tutto il giorno, poter interagire da una parte con la proprietà, dall’altra parte con lo staff. Divento anche un po’ lo psicologo dell’azienda, dell’albergo o del ristorante, perchè le persone con me si sfogano raccontandomi l’inefficienza, i problemi e quello che vorrebbero cambiasse, nelle dinamiche, nell’organizzazione. Io, poi, spesso mi trovo a far da tramite con la proprietà e il titolare.
Non dimentico comunque l’aspetto culinario, che ritrovo nelle start up e nell’avviamento di un ristorante, quando ci sono i cambi di menu, quando ci sono eventi ad hoc dove posso cucinare, divertimi e mettere le mani in pasta.
Dall’altra parte devo anche sentire l’architetto, parlare con l’arredatore, inserire nuove attrezzature, provarle, fare video e attività digital. Tutto questo è molto stimolante per me”.
Hai mai pensato di aprire una tua scuola di cucina, la aesthetic school di Mirko Rozoni?
“L’idea di fare un progetto di tipo formativo c’è, come c’è anche l’idea di aprire un ristorante.
Per quanto riguarda il ristoirante, il problema è che il cliente italiano è alla ricerca spesso della tua figura, nel senso che ti vuole trovare nonostante tu crei un format. Quando vengono a cena, quando vengono in una determinata situazione che organizzi si aspettano che tu ci sia sempre.
Quindi lo farò quando potrò dedicarci un’attenzione più costante o, forse, quando e se cambieranno un po’ le abitudini degli italiani, quando riuscirò a far coesistere le due cose.
La scuola di cucina, invece, mi piacerebbe coniugarla con una nuova casa; quindi ho un’idea di loft, un luogo dove posso far coesistere sia la mia residenza che uno spazio dove poter fare shooting, video eccetera. C’è però molta inflazione in giro, ci sono tante scuole adesso e preferisco lavorare con chi lo fa già e lo fa bene”.
Si parla molto spesso di ristoranti che hanno accumulato milioni di debiti. In qualità di consulente tu cosa pensi o comunque cosa consiglieresti per evitare una situazione del genere?
“Il problema sta in mezzo a due fuochi. Partiamo dal presupposto che, come dicevo, tra Italia ed estero c’è molta differenza.
Noi abbiamo una pressione fiscale molto alta. Una spada di Damocle sulle aziende ristorative. Siamo partiti da una situazione ristorativa e di hotellerie di tipo familiare dove ci si auto gestiva e tutto ruotava intorno alla famiglia. E questo è andato bene forse fino agli anni ’80, ’90, dove comunque il mercato italiano era fiorente. E lì non c’era un controllo strategico e anche solo con la terza media si aprivano più ristoranti senza tanti problemi. Ci sono ancora ristoratori di quegli anni ma tanti di loro adesso però non ce la fanno più.
Costa tanto il personale e nel fare ristorazione questo incide molto. Costi che influiscono meno nelle catene ristorative ed è per questo che negli ultimi anni sono state le uniche ad avere un trend di crescita.
Deve sicuramente cambiare qualcosa a livello normativo. Lo ho visto coi miei occhi quando ho aperto il catering, ma lo vedo anche con i miei clienti; bisogna sostenere, ancora prima di tirar su la saracinesca, tantissime spese: commercialista, ASL e autorizzazioni. Alcune sono lecite per una questione di sicurezza ed igiene, il problema è che hanno dei costi stratosferici.
Si spendono tra i 30 e i 40 mila euro senza nemmeno aver battuto il primo scontrino. Deve cambiare qualcosa soprattutto per la ristorazione stellata e gourmet, che ha anche un costo altissimo in termini di materia prima.
Oggi poi c’è carenza di personale, di ragazzi che hanno volgia di fare questo mestiere, ed è il problema centrale. Molti ristoratori in passato hanno sfruttato tante risorse, ma è anche vero che è difficile per un imprenditore italiano sostenre i costi di doppio personale e far fare loro i turni. E allora molti preferiscono tenere 6 persone, sfruttarle dalle 8 di mattina alle 4 del pomeriggio e dalle 17 alle 23. Ma quanto durano poi questi ragazzi?
Quindi è un gatto che si morde la coda. Bisognerebbe fare una riforma importante che nessun governo sta facendo”.
Che tipo di business ti piacerebbe sviluppare tra i tanti che hai già in essere? Hai progetti specifici per l’estero?
“C’è stata in me un’evoluzione da quando studiavo ad oggi. Mirkp Ronzoni era partito, come succede a tanti ragazzi, con l’idea di aprire il ristorante gourmet, da sognatore. Poi capisci, lavorandoci dentro, che è un settore malato e ci leghiamo a quello che abbiamo detto prima.
Quindi sono molto più proiettato sull’idea di creare dei format ristorativi come delle catene, un po’ alla Joe Bastianich, facilmente formattabili, che possano velocemente evolvere. Questo è il trend delle holding.
Un altro esempio è il format Autogrill. Creare dei format monotematici con pochi temi che siano belli e intriganti per l’estero e da poter proporre in città in evoluzione. Ovviamente adesso non è il momento storico migliore, è troppo tardi per fare cose di questo tipo a Londra, New York, Los Angeles, sono troppo inflazionati.
A meno che si trovi quel progetto super figo che però deve essere quella botta di fortuna che ti arriva, come successe ad esempio con i poke house: che è stata un’idea geniale colta nel momento storico giusto.
Mi attira molto il mercato orientale, non nego che mi piacerebbe provare ad entrarci. Magari Korea, Vietnam, città grosse che hanno ancora tanto margine di sviluppo. In Europa non è più così facile. L’idea insomma c’è. Tra amici se ne parla”.
Essendo un personaggio eclettico, cosa fa Mirko Ronzoni per tenere sempre attivo il suo pubblico e quanto è importante per te il tuo rapporto con i follower?
“É un lavoro costante. La parte di comunicazione coerente, di attività sui social devono essere quasi giornaliere, addirittura ogni social avrebbe le sue tempistiche e le sue scalette di pubblicazione. Io cerco di tenerle a mente ma non sempre riesco a rispettarle, proprio perché ho anche la parte operativa che occupa parecchio tempo e risorse.
Ma ho capito quanto è fondamentale esserci costantemente. Lo faccio in gran parte da solo, ma ho anche un team, un’agenzia che mi da una mano soprattutto per le attività con i brand e mi aiuta molto, in particolare sulla parte copy e storytelling.
È un aspetto che mi diverte molto, ma mi fa anche arrabbiare perché c’è tutto il mondo del commento facile degli haters, che grazie al cielo ho vissuto poco, forse anche grazie al mio carattere. Ovviamente con gli anni e l’aumento dei follower sono anche aumentati gli haters e per anni ho evitato di rispondere, adesso però ogni tanto mi capita di mandare a quel paese, senza però fomentare con volgarità e cattiveria, anche perché i social possono essere un pozzo senza fondo.
A parte ciò, mi piace e mi sento stimolato soprattutto quando vedo che il mio lavoro viene apprezzato e arrivano i complimenti. È una bella carica di adrenalina”.
E cosa fa Mirko quando le telecamere si spengono?
“Tanto sport. Mi piacciono molto il tennis, la palestra e la corsa. Cerco di tenermi attivo, vado a mangiare dai colleghi, ascolto buona musica, e viaggio. Con il Covid e per ragioni lavorative negli ultimi anni ho diminuito i miei viaggi ma, e me lo sono imposto come obiettivo, vorrei ritornare a prendermi una buona fetta di travel che mi appaga molto e mi da tanta ispirazione nella vita professionale.
Anche perché, viaggiando, produco molto contenuto naturale che piace alla fanbase, mentre a me piace sperimentare nuovi sapori e scoprire nuove culture”.
Dietro lo chef, il businessman, l’insegnante, l’influencer, Mirko Ronzoni oggi è felice?
“Urca! Non so. Forse sono ancora alla ricerca della felicità.
Mi rendo conto di essere fortunato e che, con tutti i sacrifici fatti nella vita, lo sono molto più di altri. Non so dire però quanto io sia felice e cosa sia la felicità.
So di essere in salute, di potermi permettere tante cose, ma me ne mancano sicuramente alcune, poi io sono uno scorpione e quindi vivo eternamente insoddisfatto.
Crescendo, con la maturità, mi sto rendendo conto che dovrei essere appagato da ciò che ho.
Penso che la felicità sia una costante che vada coltivata giorno per giorno.
Forse mi manca qualcosa a livello sentimentale, di famiglia e focolare domestico, ma mi rendo conto che una parte di me sta andando verso una direzione in cui purtroppo non dedico le giuste risorse per compensare tali mancanze”.
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INTERVISTA REALIZZATA NELL’AMBITO DEL MASTER IN CRITICA ENOGASTRONOMICA DI ITALIAN FOOD ACADEMY, con cui Mirko Ronzoni collabora – DOCENTE DI CLASSE: FRANCESCA ORLANDO
Crediti fotografici: Realize Networks – Alex Alberton