Osteria Francescana: With a little help from my friends

Terza stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al numero 22.

“With a little help from my friends”: il menù rivoluzionario dell’Osteria Francescana firmato da Massimo Bottura è un viaggio d’innovazione con uno sguardo rivolto sempre alla tradizione.

Un caldo agosto tra le vie di Modena, immersi nel vociare delle Piazze vissute, nel profumo di cibo che parla di Emilia.

Passeggiamo fino a raggiungere la Chiesa di San Francesco, dedicata allo stesso e dove si può ammirare il capolavoro di Antonio Begarelli: “La Deposizione”; ci ritroviamo, dopo pochi passi, davanti ad un ingresso essenziale, semplice, ma che nello stesso tempo desta curiosità: una porta storica riportata all’oggi con un attento restauro che negli anni ’50 fungeva da ingresso ad una delle piole del centro cittadino.

Da lì a poco, quella porta si aprirà regalandoci un grande viaggio sulle note dei Beatles.

Il menu
Il menu, crediti foto Silvia Rivetti

L’Osteria Francescana e la sua storia.

L’Osteria Francescana non ha bisogno di presentazioni, con le sue tre stelle Michelin, valutazioni e punteggi massimi in tutte le guide del settore. Nel 2016 raggiunge la prima posizione nella classifica Word’s 50 best restaurant: in un paese in cui la cultura del cibo è profondamente conservatrice Bottura ha avviato un percorso audace e talvolta controverso raccogliendo poi consensi in tutto il mondo e conquistando anche la critica italiana, racconta il periodico britannico Restaurant dell’Osteria Francescana oggi Best of the best”.

Nel 2018, Massimo Bottura scala nuovamente la vetta e torna ad occupare la prima posizione della classifica “The World’s 50 Best Restaurants” e nel 2019 l’Osteria Francescana entra nel nell’Olimpo della ristorazione, esce dalla competizione ed entra ufficialmente nella Hall of fame dei “Best of the best”.

L’ingresso, le note, i colori, i dodici tavoli e la mise en place.

L’ingresso del ristorante non è trionfale o sfarzoso, appare subito elegante, sobrio ed essenziale, come tutti i luoghi che hanno una grande storia da raccontare.

Le pareti sono di un verde salvia profondo e rilassante e le tovaglie bianche sfiorano un vellutato pavimento dai toni del caramello.

Sono emozionata, devo ammetterlo, nel sedermi a questo tavolo, uno dei dodici nel cuore di Modena.

“With a little help from my friends”: il Menù, il file rouge… e il nostro benvenuto.

With a little help from my friends è uno dei migliori menù realizzati dallo Chef modenese, commentano le principali testate gastronomiche. Un file rouge di 60 chef e Bottura per realizzare, attraverso la cultura e la conoscenza storica e gastronomica, un menù rivoluzionario e travolgente.

Mentre le prime note musicali ci avvolgono, la tovaglia immacolata dell’Osteria Francescana si riempie di colori come una tavolozza, dipinta dal nostro benvenuto: “Volevo essere fritto” di Ciccio Sultano 2010, dove il gambero parla con il cannolo che lo farà sembrare fritto, “Il wafer si veste d’oro” di Giancarlo Perbellini 2003, con la sorpresa della liquirizia, strati di croccante di sesamo alternati da formaggio caprino e tartare di branzino e, infine, “La minestra di pane” di Fabio Picchi 1979, che in un attimo ti riporta bambino.

  Il nostro benvenuto
Il nostro benvenuto – Crediti Foto Silvia Rivetti

“La cipolla fondente” di Salvatore Tessa 1990, come essere in un Bistrot parigino.

Le note dei Beatles procedono e, come in una studiata coreografia, la tavolozza cambia colori e ci offre “La cipolla fondente” di Salvatore Tessa 1990, omaggio a questo ortaggio meraviglioso e versatile, che in questo piatto mantiene la sua forma originale, coccolata da una salsa al burro bianco aromatizzato al Vermouth e da una sottile sfoglia di parmigiano.

In pochi secondi ti ritrovi in un bistrot di Parigi dal calore accogliente, i tavolini piccoli e vicini e l’affaccio su strade gremite di gente che sorseggia un calice di rosso sfidando il freddo inverno.

“La cipolla fondente” di Salvatore Tessa 1990
“La cipolla fondente” di Salvatore Tessa 1990 – Crediti Foto Silvia Rivetti

“Le capesante ripiene di mortadella” di Fulvio Pierangelini 2005, piccoli gioielli.

I colori e la stagione cambiano e ci accompagnano tra il mare e la campagna con “Le capesante ripiene di mortadella” di Fulvio Pierangelini 2005: piccoli gioielli di capesante e mortadella, chowder di finocchio e mela marinata. La certezza della mortadella incontra la delicatezza della capasanta rinfrescandosi in coda con il finocchio e la mela.

Ogni portata un ricordo, un profumo, un luogo di ritorno e di futuro.

“Controfiletto del San Domenico” di Nino Bergese 1975, l’inganno visivo.

Il gioco continua, entra in scena l’inganno visivo, ingrediente principale di questo atto, accompagnandoci in una sorpresa di gusto: “Controfiletto del San Domenico” di Nino Bergese 1975. La melanzana voleva essere un controfiletto e l’intento le riesce anche molto bene; al primo assaggio la glassa fumé dona alla melanzana un grande carattere, giocandosi alla grande questa partita, arbitrata saggiamente da una delicatissima vellutata alle erbe.

“Savarin di riso” di Mirella Cantarelli 1960, il piatto che non ti aspetti.

L’incredibile rivisitazione del “Savarin di riso” di Mirella Cantarelli 1960 si presenta con un profumo di bosco, sul fondo di funghi e un chawanmushi di parmigiano: è un budino di infanzia l’effetto madeleine di questa portata!

 “Savarin di riso” di Mirella Cantarelli 1960
“Savarin di riso” di Mirella Cantarelli 1960 – Crediti foto Silvia Rivetti

“La faraona alla creta” di Mirella Cantarelli 1963 e “Il risotto alla Bergese” di Nino Bergese 1974.

Mirella Cantarelli ci accompagna anche nella successiva portata con “La faraona alla creta” 1963 accompagnata dalrisotto alla Bergese” di Nino Bergese 1974, due piatti capaci, grazie anche a questa rivisitazione, d’incastrarsi perfettamente, presentando in un’unica opera due capisaldi della grande cucina italiana tra gli anni ‘60 e ’70.

Sentirsi a casa nel profumo di pane, principale protagonista del ripieno della faraona, reso morbido e perfettamente umido dal fondo bruno, solleticato e reso grintoso dal riso tostato, che ci porta subito all’inimitabile legatura tra un chicco e l’altro del risotto alla Bergese.

“La faraona alla creta” di Mirella Cantarelli 1963 e “Il risotto alla Bergese” di Nino Bergese 1974
“La faraona alla creta” di Mirella Cantarelli 1963 e “Il risotto alla Bergese” di Nino Bergese 1974 – Crediti foto Silvia Rivetti

“Germano ripieno di anguilla” Igles Corelli ispira 1985, il ricordo nella rivisitazione.

Torniamo all’atto dell’inganno degli occhi: siamo nel 1985 e Igles Corelli ispira il piatto botturiano “Germano ripieno di anguilla”. Il ruolo del germano viene sapientemente trasformato: anguilla, la sua pelle croccante, spinaci, rafano, marasche e aceto balsamico di Villa Manodori.

Un tripudio di sapori, rispettoso dell’originale volontà del piatto, che disegna il ricordo del nonno di Igles, pescatore e cacciatore.

“Germano ripieno di anguilla” Igles Corelli ispira 1985
“Germano ripieno di anguilla” Igles Corelli ispira 1985 – Crediti foto Silvia Rivett

“Budino di cipolla” Igles Corelli, Trigabolo 1983, la saggezza e il trasformismo della cipolla.

Restiamo in compagnia di Igles Corelli, Trigabolo – 1983, con il “Budino di cipolla”, sapiente incontro di sapori: créme caramel al lapsang souchong – una varietà di tè nero cinese – cipolle caramellate, chantilly di frizzante zenzero e bianca meringa.

Portata coraggiosa: finora il mio incontro preferito, l’emozione di un dolce che ci svela di cosa può essere capace la cipolla.

 “Budino di cipolla” Igles Corelli, Trigabolo 1983
“Budino di cipolla” Igles Corelli, Trigabolo 1983 – Crediti foto Silvia Rivetti

“Zuppa fredda di carbonara” Gianfranco Vissani 2020, un dessert nelle strade di Roma.

Note dolci e salate, Gianfranco Vissani 2020: “Zuppa fredda di carbonara”. La carbonara si trasforma in un dessert, proprio come nell’originale piatto di Vissani, creando un opera che ribalta le logiche della forza di gravità: un cono gelato rovesciato incontra una crema inglese al pepe, guanciale e banana, complici in un’inaspettata vittoria e un gelato di pecorino e caviale, ultimo personaggio dell’opera.

 “Zuppa fredda di carbonara” Gianfranco Vissani 2020
“Zuppa fredda di carbonara” Gianfranco Vissani 2020 – Crediti foto Silvia Rivetti

“Tortelli di zucca”: Famiglia Santini “Al Pescatore” da sempre, il comfort food della Domenica.

Gli spartiti stanno per terminare, con le ultime note ci spostiamo a Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova, dalla famiglia Santini “Al Pescatore” che ispira questa rivisitazione del tortello di zucca: patata dolce, cotta al forno a legna, mostarda al limone, vaniglia, burro e profumo di caffè.

Il racconto è esperienza, famiglia, comfort food, come il sapore della colazione lenta della domenica che ritrova tutti insieme ad un grande tavolo.

Il gran finale: Gualtiero Marchesi, Corrado Assenza, Gennaro Esposito.

La tavolozza si prepara a disegnare il dessert di questo viaggio, non un classico dolce, ma un sapiente incontro di sapori non uguali che si scoprono affini e complementari.

Le ispirazioni sono importanti: Gualtiero Marchesi, Corrado Assenza, Gennaro Esposito e Massimo Bottura in prima persona che conclude il menù con uno dei suoi più iconici piatti. Il pennello continua a dipingere e, nell’ordine prima esposto, arrivano “Riso oro e zafferano” 1981, “Il cannolo” 1985, “Babà” 1994 e “Camouflage” di Bottura che mette la firma a questa incredibile esperienza.

Il progetto raccontato da Massimo Bottura.

Al 22 di Via Stella a Modena c’è una centrale di energia pura che si rinnova, rialza lo sguardo dopo il momento difficile della pandemia e si reinventa, raccontando tradizione ed innovazione.

Se dopo tutto quello che stiamo vivendo, c’è chi non ha idee nuove, allora vuol dire che il loro mondo era finito” racconta lo Chef modenese racchiudendo in poche parole il vero senso di questo viaggio di sapori: collaborazione, studio e ricerca, riconoscersi nel rispetto del mondo e della diversità, sempre nella sua accezione di arricchimento e mai di privazione.

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Il suo amore per il cibo profuma di uova fresche e farina polverosa, racconta di un’infanzia felice, di pomeriggi trascorsi ad impastare, osservare, sentire ed ascoltare. Nasce da intrecci meravigliosi di cibo e racconti, emozioni e difficolta, conoscenza senza giudizio. Silvia sogna di scrivere di quell’amore fin da quando era una bambina curiosa che appuntava le ricette di nonna e ogni nuova scoperta di gusto. Oggi quegli appunti raccontano la sua storia. Passione, studio e curiosità la hanno portata a custodire quel sogno, che continua ad emozionarla, perché una cosa bella è una gioia per sempre.

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