Al Cambio non è solo cibo ma una novella raccontata con piatti della tradizione.
Ma partiamo dall’inizio. Partiamo da un piatto di tagliatelle, perché siamo a Bologna e qui una forchettata di tagliatelle vale più di mille parole.
Perché in fondo, siamo nella città fucina culinaria, che sforna ristoranti e trattorie con una storia secolare di ragù e paste ripiene.
Al Cambio però non lo troviamo sotto i portici bolognesi; non è una di quelle trattorie ammassate insieme ai locali “acchiappa turisti”. Si trova in periferia, ai margini di una pennellata d’asfalto che collega la città con Ferrara.
Varcando la soglia, lo sfrecciante rombo delle auto lascia spazio alle note di jazz e a un’accoglienza in giacca e cravatta; una di quelle che non ti aspetteresti di trovare in trattoria insomma.
Poi ti guardi intorno e il design delle sedute è un immediato invito a restare più a lungo, indulgendo non più (o non solamente) a quel piatto di tagliatelle che sognavi dal pomeriggio, ma al menu degustazione di cinque portate.
E una tentazione simile non si può certo ignorare!
I viandanti e i tortellini in brodo.
Ci sediamo al tavolo e attendiamo di farci rapire da quella tentazione, ma nell’attesa un pensiero alla storia che i muri di questo locale custodisce è quasi un obbligo.
Ogni cosa, la sedia su cui siamo seduti, l’orologio da taschino del nonno, una mela ammaccata dentro un cesto di vimini o, appunto, i muri de “AL Cambio”, raccontano una storia.
Siamo nella capitale della cucina felsinea, ad inizio ‘800. Le insegne al neon per turisti non esistono e i portici bolognesi conservano ancora la loro intatta bellezza insieme agli svettanti campanili nelle piazze, destinati a restare lì immobili per i secoli avvenire.
Lungo l’antica strada Mastarella, alcuni mercanti viaggiano a bordo delle loro carrozze e gli ultimi raggi di luce colorano di azzurro una sottile linea all’orizzonte. Mentre il giorno cede il posto alla notte, il vento affilato sferza sui loro visi: è il momento di cercare riparo alla stazione di cambio più vicina: quelle piccole case color mattone fatte per dare ospitalità e riposo ai viaggiatori.
Entrando nella locanda, il freddo e la stanchezza lasciano spazio allo scoppiettio della legna dentro il camino. I cappotti di lana vengono appesi e le dita delle mani arrossate si godono il calore della stanza: l’ora di cena è finalmente arrivata.
Prendendo il posto a tavola, un persuasivo fumo danza sopra abbondanti piatti di tortellini in brodo; la mente dei mercanti si gode il momento, mentre lo stomaco brama la prima cucchiaiata. La pasta sottile come un velo rilascia tutta la farcia, ed è subito oblio: della stanchezza, del freddo, di qualsivoglia preoccupazione.
La mattina seguente i commercianti sono pronti a partire, e mentre quel cambio rossiccio si fa sempre più piccolo alle loro spalle, quasi con senso di malinconia si chiedono se anche quella sera avranno la fortuna di mangiare, magari in un altro cambio, un piatto così buono.
Al Cambio: tradizione e ricerca.
Non so se questo episodio sia realmente avvenuto, ma quel che è certo è che i tortellini de Al Cambio sono una sinfonia scritta sullo spartito della gastronomia tradizionale proiettata verso il futuro.
E non sono solo i tortellini, qui, a raccontare un abbraccio stretto tra cultura gastronomica tradizionale e contaminazione creativa.
Sotto l’egida di Piero Pompili, infatti, il trionfo della bolognesità arriva già con l’amuse bouche: un assaggio di mortadella purissima dal sapore pieno e rotondo.
Le luci, l’atmosfera e la presenza di una macchina da cucire nera riportano alle giornate trascorse in casa della nonna, donando un senso di calore e sicurezza.
E mentre gongoli in quel calore ecco l’arrivo trionfale dei nostri tortellini. Piccole perle felsinee su cui viene versato à la minute il brodo, che rilascia tutti i suoi profumi e le sfumature sensoriali di una tradizione fissa nel tempo. Al primo boccone lo spessore della pasta quasi svanisce, come a omaggiare il saporito ripieno.
Ma ecco, finalmente, le torreggianti tagliatelle al ragù bolognese ricche di parmigiano. La consistenza ruvida è il tratto distintivo di un impasto nato e stirato sopra un tagliere di legno. Un omaggio culturale alle iconiche sfogline bolognesi.
Non può mancare una per niente timida porzione di Latte in piedi: un piatto umile che avvolge e coccola con gli aromi caratteristici del caramello e delle uova, in un perfetto equilibrio di leggerezza e sostanza.
Insomma, mangiare Al Cambio dona un po’ quel senso di oblio dei viandanti di un tempo: quando torni in mezzo ai rumori di periferia agogni immediatamente il ritorno a quell’oasi di pace.
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