Una calda domenica di luglio. Uno spaghetto alle vongole veraci in programma per il pranzo. Scendo in cantina tra i miei vari “bambini” (così chiamo le mie… molte bottiglie) e decido di stappare il Monte Carbonare (Soave Classico DOC 2016): 100% Garganega coltivata sui terreni scuri basaltici (neri come il carbone), nelle terre vulcaniche e minerali di Suavia. Caratteristiche che si sprigionano immediate e pungenti al naso.
C’è la frutta bianca, la pesca noce, in equilibrio con le note verdi e leggere di peperone e foglia di pomodoro. Soffusi sentori di erbe aromatiche, fiori bianchi e mandorla. La buccia di cedro, ancora un po’ acerbo, lo rende fresco.
La sapidità all’assaggio è immediata, come la mineralità al naso; entra rotondo, morbido, e persiste pieno, avvolgendo il palato.
Ha molto carattere questo Garganega, perfetto ed equilibrato come quando lo assaggiai in cantina con Alessandra Tessari, una delle tre sorelle a capo di questa azienda tutta al femminile: donne ferme nei valori familiari ma sempre in evoluzione nella ricerca di modernità per i loro vini.
Ho letto che il Monte Carbonare ha ottenuto la Corona nella guida Vini Buoni d’Italia 2019 tra i vitigni autoctoni … e senza nemmeno rendermene conto torno con la memoria a qualche mese prima…
Suavia: l’antico nome di Soave, terra degli Svevi, che avevano invaso barbaricamente la zona.
Siamo a 300 m sul livello del mare, a Fittà di Soave, dove la famiglia Tessari vive e coltiva la terra dal 1800. Siamo nella zona classica del Soave: sulle colline dove Trebbiano e Garganega crescono su terreni basaltici di origine vulcanica, dove il clima è asciutto e l’escursione termica maggiore. È questo che differenzia il territorio del Soave dalle limitrofe aree del Bardolino e del Valpolicella.
La vendemmia è totalmente manuale. Si rispetta la terra e ciò che offre.
Dal 2018 si lavora in biologico e l’attenzione per il territorio è ancora più importante. La DOC nasce nel 1968. Una percentuale che varia dal 70 al 100 di Garganega unita ad un 25-30% di Trebbiano di Soave (con possibile percentuale di Chardonnay).
La Garganega dona struttura e densità; ha un’aromaticità non spiccata, ma fine, elegante. La distinguiamo nel vino per i sentori di mandorla, limone, fiori bianchi; ha un’acidità bassa.
Il Trebbiano è generalmente più sapido, vivace, fresco, con una forte acidità e aromi più restii ad uscire al naso.
Sta ad ogni singolo produttore scegliere e trovare il miglior equilibrio per la sua identità.
100% Garganega nel Monte Carbonare degustato in cantina e ritrovato a casa assieme ad un flash back che mi riporta fin qui.
100% Garganega nel Soave Classico DOC.
Assaggio e confronto con Alessandra due annate: 2016 e 2017.
La prima, annata memorabile per il vino italiano, risulta immediatamente equilibrata. Fresco, minerale, fruttato di agrumi, frutta esotica e a polpa bianca con note di mandorla e basilico. Rotondo, morbido, elegante e sapido al palato.
Il 2017, imbottigliato da poco al mio assaggio, deve ancora equilibrarsi; esce la nota minerale caratteristica e una spiccata acidità che ha solamente bisogno di un po’ di tempo per ammorbidirsi.
Affascinante e vellutata la versione di Garganega da vendemmia tardiva: Le Rive. Bianco Veronese IGT. Annata 2015. Non viene prodotto tutti gli anni: solo in quelli in cui le condizione atmosferiche permettono all’uva di arrivare sana fino ad inizio novembre. Tre anni di lavorazione e riposo: prima in botte grande, poi in acciaio e ultimo anno di risposo in bottiglia.
Dal calice zampillano le note speziate di curry, di uvetta, di vaniglia che invadono il naso. Sentori di croccantino di mandorle e nocciole, frutta stramatura e, sempre caratteristica, una leggera mineralità.
Al palato è suadente, caldo e rotondo.
L’ultima versione di Garganega che assaggio è quella appassita: Acinatum, Recioto di Soave DOCG 2013.
Un anno in acciaio e 3 in barrique per poi regalare aromi di frutta sciroppata (pesche e albicocche), miele di acacia, caramello. L’acidità fresco-sapida bilancia la grassezza all’assaggio.
Non solo Garganega però…
In queste colline cresce anche il Trebbiano.
In purezza nel Massifitti 2015. 15 mesi in acciaio e 12 mesi in bottiglia prima di essere immesso sul mercato.
Avaro di aromi: soffuse note di mela, melone invernale, menta, gelsomino. Spicca la cipria, la mineralità e la citricità delle note agrumate.
Molta acidità citrina anche al palato. Una bella spalla per renderlo molto longevo.
Ritorno alla realtà: al profumo di vongole nella pasta e agli aromi del Monte Carbonare che mi salgono al naso.
Una forchettata e un sorso; ero leggermente curiosa del risultato dell’abbinamento: decisione ed eleganza di entrambi, alla fine, vanno a braccetto.
Continuo il pranzo e sorrido ai ricordi, ai miei viaggi, alla scoperta di territori, agli assaggi e alle mie chiacchiere con i produttori che mi riempiono sempre il cuore.